Un grande vino è il frutto della sapienza umana della trasformazione dell’uva, ma spesso non consideriamo che l’uva stessa è il frutto della vite. Per passi gerarchici possiamo affermare che, per fare un vino eccellente, dobbiamo avere delle viti eccellenti: ogni vigneto ha condizioni diverse e dà risultati diversi.
Per capire come ci si arriva a certi risultati è importante conoscere la storia della vite e altre curiosità del suo comportamento. Ricordiamoci che è un essere vivente e come tale risponde alle svariate situazioni ambientali e pedologiche.
Storia della vite
La vite appartiene alla famiglia delle Ampeloidee: piante sarmentose a fusto rampicante mediante viticci, che sono generalmente opposti alle foglie. Tali piante erano presenti in gran parte dei nostri continenti e fu il botanico Francese Jules Emile Planchon a dividerle in 2 sottogeneri:
- Vitis Muscadina
- Euvitis
Nel genere Euvitis sono state classificate 30 specie, ma quella che ci interessa è la vitis vinifera, cioè quella che dà origine al nettare di Bacco. La vitis vinifera è ancora divisa in 2 grandi categorie:
- Vitis vinifera silvestris -selvatica e presente ancora in alcune aree-
- Vitis vinifera Sativa -coltivata attualmente nelle sue molteplici varietà-
Alcune indicazioni portano a credere che la vitis vinifera fosse originaria del sud del Caspio, ma è più corretto affermare che lì siano soltanto iniziate le prime coltivazioni della vite, allo scopo di ottenere una bevanda fermentata che avesse effetto inebriante.
Il reperto archeologico più antico della vite è la vitis sesannensis, ritrovata al nord della Francia; tale fossile risale all’epoca Eocene inferiore, circa 50 milioni di anni fa. Alcuni resti archeologici sono stati trovati anche in Alaska, Islanda e Germania.
Il ricercatore Luigi Manzoni, a cui dobbiamo la ricerca di ibridi, considera che la vite fosse presente in Europa forse ancora prima della comparsa dell’uomo su questo continente e, quindi, non ritiene rilevanti i dati che collocherebbero in oriente l’origine della vite. Secondo la sua opinione, la vitis sativa deriva dalla selezione e coltivazione di alcune varietà di silvestris che, per loro caratteristiche, facilità di propagazione vegetativa e possibilità di vivere fuori dalle selva, avevano le caratteristiche idonee alla civiltà dell’epoca. Ipotizza, quindi, che i popoli provenienti dall’Asia non portassero con loro la vite, ma la conoscenza della sua coltivazione.
Fisiologia della vite
La vite, come ogni altro essere vivente , reagisce ad ogni stimolo esterno. Analizzando le sue origini e la sua fisiologia possiamo indurla ad una reazione che ci faccia avere i migliori grappoli da portare elle cantine per la loro trasformazione in vino. Occorre capire la sua storia e le sue proprietà, senza dimenticare che l’ambiente climatico sta modificandosi e, conseguentemente, anche la vite muta.
È difficile tracciare per ogni vitigno quali siano state le sue origini genetiche. Teniamo presente che la vite, originariamente, è considerata una pianta poligamo-dioica: queste specie, per definizione, contano individui maschili e femminili distinte. Le viti attualmente coltivate, invece, sono prevalentemente autogame e ermafroditi, presentano cioè entrambi gli organi riproduttivi -stami (maschile) e pistillo (femminile)- nella stessa piante e nello stesso fiore. Ciò non inibisce comunque dei casi di impollinazione incrociata, anche perché in alcuni individui gli stami, prima di versare il polline, si girano vero l’esterno del fiore. Le piane ermafrodite, comunque, danno maggiori garanzie per la fecondazione e la formazione dell’acino, oltre che la costanza produttiva, obiettivo della coltivazione.
Possiamo affermare che molti dei nostri vitigni hanno del patrimonio genetico comune, le ibridazioni avvenivano in maniera spontanea dando origine al frutto e, di conseguenza, al nuovo individuo. Attualmente, come vedremo in seguito, la vite viene propagata per talea, via vegetativa, per cui l’individuo figlio è identico al suo genitore e identico è il suo patrimonio genetico.
Il ciclo vegetativo annuale è diviso in 7 momenti:
- Pianto e germogliamento
- Dal germogliamento alla fioritura
- Allegagione -periodo dall’inizio della fioritura alla fecondazione con formazione dell’acino-
- Dall’allegagione all’invaiatura
- Dall’invaiatura alla maturazione idonea e vendemmia
- Dalla vendemmia alla lignificazione del tralcio e caduta delle foglie
- Completamento del ciclo dalla caduta delle foglie e potatura
Per pianto si intende quando, prima del risveglio vegetativo, da ferite o recisioni varie -soprattutto dovute alla potatura- esce del liquido. Questo è dovuto al fatto che le radici, quando il terreno raggiunge una determinata temperatura, iniziano la loro attività di assorbimento e spinta dei liquidi verso l’alto. La temperatura non è uniforme per tutte le varietà di viti, ma è soggettiva, anche se la differenza termica tra una varietà e l’altra è compresa entro 3,5° gradi centigradi. Alcune sperimentazioni fatte a Montpellier -in Francia- hanno rilevato che, a una profondità 25 centimetri nel terreno, le temperature variano per elementi più precoci intorno ai 10 °e per le più tardive intorno ai 13,5° gradi centigradi. Si deve tener presente che una volta partito il pianto, anche in presenza di sbalzi termici, questo non viene fermato.
Il tempo che intercorre tra il pianto e il germogliamento è diverso a seconda della varietà della vite e delle temperature medie giornaliere: occorrono dai 25 ai 33 giorni perché le prime gemme, generalmente quelle della parte più alta del tralcio, inizino il germogliamento. Le sperimentazioni hanno comunque dimostrato che l’incremento delle temperatura di 1° grado centigrado è in grado di ridurre mediamente di 6 giorni il tempo che intercorre tra il pianto e il germogliamento.
È doveroso notare come il cambiamento climatico possa comunque anticipare il pianto e accorciare il tempo di queste fasi. È da tenere presente però che la vite effettua su di sè una vera e propria difesa climatica. Alcune ricerche dello scorso secolo notarono che una pianta, trovandosi in climi più caldi, tendeva a germogliare a temperature più alte: la stessa varietà a Montpellier germogliava a circa 10° e, ad Algeri, lo stesso fenomeno si verificava a circa 13°. Tuttavia nulla toglie che l’innalzamento delle temperature comporti un accorciamento del ciclo vegetativo, partendo già da queste fasi iniziali, con anticipi della vendemmia.
Il germogliamento inizia con il rigonfiamento e la schiusa delle gemme ibernanti presenti nel tralcio lignificato del ciclo vegetativo precedente. Inizialmente cadono le perule, che sono le scaglie sugherose, che hanno protetto la gemma dai rigori dell’inverno. Si forma come una piccola corona dove i nodi e i meritalli -la parte di tralcio tra un nodo e l’altro- si allungano per raggiungere l’apice vegetativo della vite, con cui la pianta allunga i suoi tralci d’annata generando i nuovi tessuti che formeranno il nuovo tralcio. Con l’inizio del germogliamento termina il pianto della vite e la pressione prodotta dall’assorbimento delle radici si concentra ora sulla crescita del tralcio.
Ad avvenuto germogliamento iniziano a formarsi le foglie e i grappoli con i loro fiori. Questo è un momento abbastanza delicato in quanto la pianta non è ancora in grado di avere una sua “autonomia energetica” ed è per questo che è importante la fase di lignificazione relativa al ciclo vegetativo precedente. In questa fase la pianta accumula sostanze di riserva che utilizzerà per la sua “ripartenza” di primavera. Maggiori sono le risorse e migliore sarà il risultato della vendemmia, in quanto la vite non verrà sottoposta a stress energetico. La capacità di accumulo è dovuta anche alla vigoria e all’età della pianta: le piante giovani destinano la fotosintesi soprattutto al loro accrescimento e hanno meno capacità di immagazzinare le sostanze di riserva ed ecco perché le vecchie vigne tendono a dare una qualità di uva migliore. Ma la maestria e le attuali conoscenze possono comunque attenuare tali difformità attraverso una adeguata potatura e la cura estiva del vigneto. È necessario non eccedere nella concimazione, soprattutto azotata, che favorirebbe l’eccesso vigore vegetativo e una scarsità di accumulo di riserve; teniamo presente che la vite non necessità di terreni eccessivamente fertili, ottiene infatti eccellenti risultati anche in terreni poveri.
Si arriva al momento della fioritura: i grappolini sono già presenti allo stato embrionale all’interno della gemma, sviluppandosi e crescendo in sinergia con il germogliamento, mentre i fiori della vite sono raccolti nel grappolo. Inizia quindi la differenziazione sessuale del fiore e la formazione dell’androceo e del gineceo e, poco prima della fioritura, si arriva alla completa formazione della parte riproduttiva. Alla schiusa il fiore perde la sua parte protettiva e rilascia così il polline. Nelle piante ermafrodite, prima di lasciar fuoriuscire il polline, gli stami raggiungono un’altezza superiore al gineceo formando un angolo di 40°-50°; le antere ruotano verso l’esterno lasciando uscire il polline dal fiore. È curioso notare che le antere rilasciano il polline solo quando sono volte verso l’esterno, favorendo così un’impollinazione incrociata.
Personalmente ritengo che, quando in uno stesso vigneto sussistano più varietà di viti, l’acino che si forma può essere diverso dal patrimonio genetico della pianta “madre”. Fulvio Bressan, ad esempio, dichiarò che in tempi remoti il vigneto del Tocai Friulano era composto da 8 piante di Tocai, 1 pianta di Ribolla Gialla -per contrastare la bassa freschezza del Tocai- e 1 di Malvasia istriana – per donare aromaticità e smorzare lo spiccato sentore di mallo di noci. Questo, per mia opinione, non era solo un fenomeno di uvaggio, ma si usufruiva d’ impollinazioni incrociate e gli acini avevano comunque caratteristiche genetiche, e organolettiche, diverse rispetto alla pianta su cui maturavano. La tradizione del tocai friulano non è l’unica realtà: ci sono molteplici esempi, nella viticoltura italiana, come quella citata. Ad avvalorare questo, il fatto che nella vite -seppur nella varietà ermafrodita- siano presenti fiori solo maschili o solo femminili e che, anche nelle viti dioiche, siano presenti fiori ermafroditi a garanzia, probabilmente, di una fecondazione, anche se limitata. La presenza di fiori monogami in piante ermafrodite si deve, invece, alla volontà di garantire comunque un incrocio, non ostacolando l’evoluzione genetica.
Il periodo della fioritura cambia a seconda della varietà di vite, ma comunque va dalla metà di maggio alla metà di giugno. La fioritura dura dai 4 agli 8 giorni in relazione all’andamento climatico dell’annata, ma può anche estendersi ulteriormente per la fioritura completa del vigneto. All’interno della stessa varietà vi sono delle gerarchie di fioritura: prima fioriscono i grappoli più in basso del tralcio e successivamente quelli superiori; all’interno dello stesso grappolo prima fioriscono quelli a vicino al tralcio e in sequenza quelli della punta del grappolo e delle “ali” -qualora siano presenti-.
Fu per primo Millardet, botanico francese del XIX secolo, a notare che il clima agisce anche sull’apertura dei fiori: a 15° gradi centigradi si aprono a lunghi intervalli, a 17° la schiusa avviene in modo regolare e a 20°-25° il processo è rapidissimo e si svolge nelle ore mattutine.
Finita la fioritura inizia l’allegagione, la formazione dell’acino che sarà protagonista del vino.
Inizia quindi il ciclo dell’invaiatura, partendo dai fiori fecondati che danno origine all’acino. Non tutti i fiori subiscono questo processo: numerosi di questi cadono, permettendo così alla pianta di avere lo spazio necessario a sviluppare gli acini che rimangono. A questo punto l’acino si presenta verde, in quanto ricco di clorofilla.
Inizia subito il flusso di sostanze dalla pianta al frutto: questo processo, con l’accumulo di sostanze zuccherine e con la sintesi della vite, aumenta il volume dell’acino, trasforma i tessuti e rende la buccia man mano più elastica. Iniziano anche i processi chimici all’interno dell’acino che danno origine, oltre che allo zucchero, alle componenti aromatiche che determinano il sapore e i profumi che distingueranno il vino.
La fase successiva, che precede la maturazione, è l’invaiatura, ovvero il cambiamento di colore e della buccia: scompare quasi completamente la clorofilla, presente nell’allegagione, e compare la pruina che ingloba i lieviti indigeni che attiveranno la fermentazione del mosto.
Si arriva così alla maturazione idonea per la vinificazione, che non corrisponde con la maturazione fisiologica: questa avviene infatti quando l’acino è pronto a dare origine a una nuova pianta, mentre la maturazione di vinificazione si presenta quando l’uva è idonea per far ottenere il vino che si desidera produrre. Ci sono infatti dei parametri -definiti indice di maturazione- che, in base ai loro equilibri e alla tipologia di vino da ottenere, determinano la data di vendemmia.
Il periodo che va dall’invaiatura alla caduta delle foglie è importante, come visto in precedenza, per la lignificazione del tralcio, ovvero la capacità della pianta di risparmiare le sostanze di riserva utili per ottenere una migliore qualità nella vendemmia successiva.
Leave a reply
Devi essere connesso per inviare un commento.